Anche Questa è Violenza Sessuale
- PsykoLife

- 26 mag
- Tempo di lettura: 4 min
Quando il rispetto non è richiesto, ma dovuto
Mi sono svegliata con il cuore pesante. Un messaggio sul cellulare. Non uno qualunque. Uno che non dimentichi. Uno che ti cambia dentro.
Era un messaggio da un uomo che conosco solo per motivi lavorativi. Nessuna confidenza, nessun flirt, nessuna ambiguità. Sono riservata, professionale, attenta. Persino noiosa, direbbero alcuni. Eppure, quel messaggio conteneva un racconto erotico. Io, protagonista. Io e lui. Nella sua testa.
Nella sua fantasia. Non nella mia realtà.
Non ho letto tutto. Bastavano le prime righe e l’ultima frase per sentirmi invasa, usata, come se qualcuno avesse deciso che il mio corpo e la mia immagine gli appartenessero. Come se la mia volontà non avesse alcun valore.
Poi, un altro messaggio. Sta scrivendo un libro, dice. “Siamo i protagonisti. Tranquilla, non userò i nostri nomi 😊”.
Quell’emoji mi ha fatto rabbrividire più del testo. Come se bastasse sorridere per lavarsi la coscienza.

Come si è permesso?
Ho iniziato a rimuginare. A pensare e ripensare. “Forse ho detto qualcosa di sbagliato?”, “Forse ho sorriso troppo?”, “Forse ho dato confidenza?”
Il classico copione che conosco fin troppo bene. Lo vedo ogni giorno nel mio conesto lavorativo. Quando le vittime iniziano a domandarsi se in fondo non se la siano cercata, se avessero potuto evitarlo.
Ma questa volta non era una paziente. Questa volta ero io.
Io, che studio i traumi. Io, che lavoro da anni sul tema del consenso. Io, che aiuto le persone a guarire. Mi sono trovata dentro quel tunnel buio di auto-colpevolizzazione e senso di contaminazione.
Mi sono sentita violentata nella mente. Non nel corpo, certo, ma nei miei pensieri. Nella mia rappresentazione di me stessa. Nella mia riservatezza. Nella mia integrità. E non è un’esagerazione: anche questa è Violenza Psicologica.
Non è “solo una fantasia”
Scrivere un racconto erotico su una persona reale, senza il suo consenso, e poi inviarglielo, è una violazione gravissima del confine psicologico.
È come entrare in casa tua, senza bussare, per mostrarti una scena che non hai scelto di vedere.
È come tenere aperti gli occhi di qualcuno con la forza, come nel film “Arancia Meccanica”, costringendolo a guardare ciò che non vuole.
E il fatto che qualcuno lo faccia con il sorriso, con leggerezza, aggiungendo magari un “tranquilla”, non rende la cosa meno grave. Anzi: è una forma di manipolazione sottile. Una strategia per minimizzare l’impatto, per confondere la vittima, per farla sentire esagerata se si sente ferita.
Anche questo è molestia
Molestia non è solo un tocco indesiderato. È anche un pensiero reso parola, una fantasia travestita da arte, quando manca il consenso.
È voler coinvolgere l’altra persona in un’intimità mentale mai autorizzata. È usare la sua immagine, la sua voce, la sua presenza, per un piacere unilaterale. È violenza, perché toglie potere all’altra persona. La priva della libertà di decidere come essere vista.
Non importa quanto “innocente” voglia sembrare il gesto.
Non importa se il messaggio arriva “per gioco” o “in buona fede”.
Non importa se ci metti un emoji sorridente alla fine.
Se manca il consenso, è una forma di abuso.
A chi vive qualcosa di simile
Scrivo tutto questo perché so che non sono sola. Perché so che tante persone, come me, si sono ritrovate a sentirsi sporche, violabili, confuse, senza neanche capire subito cosa stava succedendo.
Se è successo anche a te, voglio dirti una cosa importante: non è colpa tua.
Non importa come ti vesti, cosa pubblichi, quanto sei gentile.
Non importa se sei bella, riservata, dolce o sicura.
Non hai fatto niente per meritare di essere usata.
Quello che hai vissuto ha un nome: violenza psicologica. E merita di essere riconosciuta, chiamata per nome e affrontata con serietà.
A chi pensa che “non è niente di che”
Fermati.
Chiediti perché pensi di avere il diritto di usare un’altra persona come protagonista delle tue fantasie, senza che lei lo sappia, lo voglia, lo scelga.
Chiediti perché credi che basti “non usare i nomi veri” per essere a posto con la coscienza.
Chiediti cosa c’è davvero dietro il bisogno di coinvolgere chi non ti ha mai dato il permesso.
Forse è il momento di guardarti dentro. E di capire che il rispetto non è un optional. È il minimo sindacale.
Anche questa è violenza psicologica.
E va riconosciuta, raccontata, denunciata.
Se ti sei sentita violata mentalmente 🧠, se qualcuno ha superato i tuoi confini senza toccarti fisicamente ⚠️, ma lasciandoti un senso di invasione e disagio profondo, sappi che hai il diritto di difenderti. E che la tua esperienza conta 💔. Non tenere tutto dentro 😨. Parlarne è il primo atto di cura. E anche il primo di giustizia.
Non sei esagerata. Non sei sbagliata. Sei stata violata. E hai tutto il diritto di farti ascoltare.
📩 Sentiti libera di contattarmi 📝: Ti Ascolto ✅ 👉 In questo articolo alcuni esempi di come avrei reagito riguardo a questa situazione come neuropsicologa.



Commenti